Gianni Celati, da Avventure in Africa

Qui adesso facendo i conti del nostro viaggio tra i Dogon, direi che ho visto poco e ho capito ancor meno. Ma ho un'assurda nostalgia di quei posti...

Sentivo il sapero della vita d'ogni giorno, che non va da nessuna parte, e sta sospesa come una nuvola sopra un burrone. Per questo i viaggi ti ubriacano subito, si diventa assuefatti all'eccitazione degli spostamenti, allora sembra che la vita debba andare da qualche parte...

Si', però, sbarcati in Europa, anche qui è come essere in un documentario perpetuo, dove vedi tutto pulito, ordinato, levigato, glossy, flashing, rifatto a nuovo, neanche uno scarto troppo vistoso, una macchina troppo squinternata, una persona veramente sdentata, un vestito davvero fuori moda, un negozio che sia rimasto come cinque anni fa, una vetrina con libri che non siano novità assolute. Andiamo in giro per Parigi e vediamo soltanto quest'altro documentario del nuovo totale, senza più niente di precario, di povero, decaduto, rimediato, tarlato dal vento, scartato dal destino. E' il documentario della simulazione globale, senza luogo, senza scampo, che ci mostrano a titolo pubblicitario notte e giorno, dietro lo schermo di vetro che abbiamo in dotazione per vivere da queste parti. Ma poi si sa che quando uno è lasciato dietro a un vetro, tende a sentire che gli manca qualcosa, anche se ha tutto e non gli manca niente, e questa mancanza di niente forse conta qualcosa, percheè uno potrebbe anche accorgersi di non aver bisogno davvero di niente, tranne del niente che gli manca davvero, del niente che non si può comprare, del niente che corrisponde a niente, il niente del cielo o dell'universito, o il niente che hanno gli altri che non hanno niente.