IL FILM DELLE EMOZIONI

di Raffaele Calabretta
(Gaffi, 2006)

http://laral.istc.cnr.it/rcalabretta/IlFilmdelleEmozioni/

 

Recensione di Deborah Di Salvo, una lettrice del libro

Gabriele corre in un prato, nella sua storia, nel suo amore per Michela, nei suoi traguardi che sembra non riesca mai a raggiungere, nelle strade convulse dell’America, dove nostalgicamente ascolta canzoni italiane e riflette su se stesso. Gabriele, con un faro puntato sulla sua terra, fa risaltare su uno sfondo, come di vecchie fotografie in bianco e nero, una Calabria che è cicaleccio, teatro, lamento con cori di greca provenienza, donne che oscuramente si rinchiudono per parlare della carne da comprare o di un figlio da sistemare. E quel correre è un circolo su se stesso, a cui egli stesso vuol dare risposta; è una sorta di diario, dove scattano fotografie descritte dall’autore, che il lettore segue, spasmodico, per sapere, infine, dove egli voglia giungere.

Gabriele vuole giungere, semplicemente, a conoscersi e coinvolge i suoi studi in quell’interpretazione dell’anima che sfugge anche al più valevole studioso. Egli  si cerca e cerca l’aiuto del lettore in questo traguardo; è un “ do ut des” di scambievolezza perché permane solenne, coraggioso, altamente culturale, il segno forte del dubbio. Il dubbio inteso come forma di conoscenza e simultaneamente di “sapere di non sapere”, il dubbio come analisi continua che è una corsa con le gambe, con l’anima, con la burocrazia, con la ricerca di una casa, con il suo rapporto anacronistico con Michela. Il suo leggere continuo ci fa pensare ad un moderno Socrate che invece di andare a domandare ai suoi allievi, ai suoi cittadini, cosa ne pensassero dell’amore, della giustizia, del successo, del lavoro,  sottrae le medesime domande a letture continue, a volo ascensionale, verso un apprendere che sembra non debba mai finire ed egli ci fa intendere che non finisce: la cultura è dubbio,  cattura del dubbio, smussamento dello stesso tramite un lavoro di ricerca, che non ha mai fine, dacchè il dubbio  - come la cultura – sono note di vento che si avvolgono come spire nei capelli e poi vanno altrove, incuranti del nostro interesse. Gabriele questo imprime nel libro, come la scritta impressa all’entrata dell’oracolo di Delfi: Conosci te stesso  o, almeno, provaci.

Ma questo conoscersi di Gabriele, oltre che predisporsi ad un dialogo emotivo col fruitore, sembra quasi voglia accompagnare lo stesso al silenzio, alla meditazione e alla riflessione. In taluni attimi, tutta l’affannosa corsa ha dei rallentamenti, delle soste, e qui entra il concetto del conoscersi e riscoprirsi attraverso il tempo da donare a noi, ai nostri pensieri, a quello che lasciamo scorrere velocemente nella vita quotidiana, nascondendoci dietro il lavoro o la mancanza di tempo. Discorsività e meditazione si alternano e ci avvinghiano, dandoci quel senso di ritmo incalzante che è l’energia stesso del pensiero. E’ un libro da leggere per la fotografia immaginata e descritta, per l’ironia lieve che stempera la stessa serietà del dire, per la struggente e immediata tenerezza con cui Gabriele approccia all’amore e a sé stesso. E’ da leggere soprattutto per quello che non dice e ci lascia intendere. A noi lascia finire il libro col nostro giudizio e pensiero, concedendoci un prolungamento verso il “nostro film delle emozioni”, talvolta da noi stessi sottovalutato.